Buon Compleanno, Italia.

D'accordo, l'attuale clima svilisce l'altissimo significato delle celebrazioni, eppure dinnanzi ad un Tricolore, c'è sempre quel brivido...

Lui di sinistra ed io di destra. Però, come lui non è uno di quelli accecati da un antiberlusconismo viscerale, il sottoscritto non è certo un fanatico integralista della religione berlusconiana. Per usare una metafora calcistica, diciamo che abbiamo abbandonato le rispettive curve da ormai qualche tempo, da quando, cioè, le squadre a cui abbiamo sempre tenuto hanno eccessivamente annacquato la loro identità in nome del calcio moderno. Oltretutto, noi “di destra” abbiamo dovuto subire l’onta del cambio di casacca del nostro Capitano, sì, proprio quello in cui c’identificavamo quando ancora portavamo i calzoni corti. Come se Totti passasse alla Lazio e Maldini avesse chiuso la carriera all’Inter. Decisamente troppo, per chiunque. Meglio starcene in tribuna, a fare il tifo, certo, ma senza quella tensione ideale che si traduceva in un trasporto pressoché totale, in una vera e propria simbiosi con chi indossava i colori delle nostre squadre del cuore. Proprio l’altra sera, durante una delle nostre accese discussioni, ecco giungermi la domanda che ho scelto come incipit per questo mio pezzo: “Alessandro, ma tu che sei di destra, non credi che lo spettacolo a dir poco desolante di questi ultimi anni sia la cornice peggiore per il 150mo compleanno della nostra povera Italia? Mignotte sui giornali ed in Parlamento, una classe politica gerontocratica che non la schiodi manco con le cannonate, qualche pirla della Lega che gioca a sputtanare il Tricolore per raccattare i voti di chi è pirla quanto lui. Mi dici, in tutta onestà, qual è stata l’ultima volta – escludendo il mondiale del 2006 – in cui ti sei sentito davvero orgoglioso di essere italiano?”.

“Circa tre ore fa”, gli ho prontamente risposto, “ero in bici, sono passato davanti al Monumento ai Caduti ed ho visto il Tricolore che sventolava. Ecco, per quelli come me, guardare quella bandiera, la nostra bandiera, significa sentirsi correre un brivido lungo la schiena, e lo dico senza retorica, sia chiaro”. Siccome lo conosco molto bene, sapevo perfettamente che quel suo irrigidirsi sullo schienale della sedia fosse un chiaro segno d’insofferenza rispetto alla mia risposta, così lo accontentai, dimostrandogli che non era mia intenzione eludere le sue questioni: “Sai benissimo che mi trovi d’accordo, non certo nei toni, ma sicuramente in buona parte della sostanza di ciò che dici. Ne abbiamo parlato diverse volte. Concordo anche sul fatto che questo clima, in qualche modo, svilisca l’altissimo significato delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unita d’Italia, che qualcuno non voleva nemmeno festeggiare. Pensa che io trovo persino poco un giorno di festa: fosse stato per me, il 17 marzo, le più alte cariche dello Stato avrebbero dovuto tagliare il nastro di una grandissima opera dedicata a chi è morto per la Patria, un simbolo per le generazioni future, insomma. Invece niente. Ah, a proposito, giovedì vedi di esporre un bel Tricolore alla finestra!”. Tra una sigaretta ed un bicchiere di buon vino nero, il dibattito si faceva sempre più interessante, “Altro che Tricolore, con quello che fa Berlusconi – provocò il mio amico – voi di destra dovreste avere la decenza di non nominarla nemmeno, la Patria. Come fai a dire che sei orgoglioso di essere italiano, e sostenere un presidente così?”. Ovviamente la conoscenza era reciproca, e a lui piaceva saltellare sui miei nervi scoperti, ben sapendo che certi toni “alla Travaglio”, mi facevano letteralmente incazzare.

“Senti, mi darai atto che quando c’era da criticarlo sono stato tra i pochi a farlo, oltretutto a viso aperto. Detto questo, non è tollerabile che si parli in questi termini di un Presidente del Consiglio che, vi piaccia o no, raccoglie il consenso di gran parte degli italiani, a cui ha saputo dare diritto di rappresentanza, attraverso la costruzione del blocco moderato di centrodestra. Quanto al mio sentimento di amor di Patria, beh, ti posso garantire che mi sento perfettamente rappresentato da una maggioranza che ha avuto il merito d’infrangere parecchi dogmi, soprattutto culturali. Qualche esempio? Di Foibe non si è parlato per sessant’anni, un silenzio vergognoso, frutto di uno scellerato patto tra Pci e Dc, spezzato dall’iniziativa di Alleanza Nazionale che, grazie alla maggioranza che sosteneva il Governo Berlusconi (amici della Lega compresi), è riuscita ad istituire la “Giornata del Ricordo”. A questo proposito mi viene in mente un vecchio slogan di An che, a mio parere, rappresenta perfettamente il concetto: Eravamo in pochi a chiamare Patria l’Italia, oggi siamo la maggioranza. Il punto è proprio questo, ovvero che a farci la morale è quella stessa sinistra che, fino alla Bolognina, aveva una sola bandiera, quella rossa, e considerava il Tricolore alla stregua di un vessillo fascista”. “Sì, ma queste sono cose che lasciano il tempo che trovano, dei semplici contentini…”, obbiettò lui, “nient’affatto – m’affrettai a rispondergli – è proprio qui che ti sbagli, perché consideri di poco conto questioni che stanno, invece, alla base del clima da guerra civile permanente che ci trasciniamo da oltre settant’anni, che è stato l’oppio con cui la sinistra ha drogato il popolo, distogliendone l’attenzione dai problemi reali. Dc e Pci si spartivano poltrone e potere? Intanto nelle piazze si ammazzavano dividendosi tra fascisti e comunisti. Guarda caso, il Movimento Sociale diventò un “pericolo per la democrazia” proprio quando Almirante cominciò a parlare di “pacificazione nazionale”, collocando il partito a destra, facendo passi da gigante per consegnare il fascismo ai libri di storia. In quest’ottica consideriamo di valore inestimabile le dichiarazioni di Ciampi e Violante sui “Ragazzi di Salò” ed il dibattito che ne scaturì, anche grazie ai libri di Pansa. Una memoria condivisa, e la fine della dicotomia berlusconiani – antiberlusconiani, ecco quel che ci serve per fare il salto di qualità come Nazione, e costruirla è un compito che spetterà alla nostra generazione, caro mio. Che ti piaccia o no”.

Il suo annuire mentre inalava l’ultimo tiro di quella sigaretta valeva più di mille parole, “mi piace discutere con te, perché ci credi per davvero. Senti…”, mi disse con un aria che tradiva un leggero imbarazzo, “dai, già che sono qui, prestami un Tricolore, così giovedì lo appendo alla finestra, ma sappi che lo faccio solo perché me lo hai chiesto tu!”. Non feci battute ma, dopo avergli dato la bandiera, gli sorrisi e lo abbracciai. Buon compleanno, Italia.

Alessandro Nardone

Fonte: L’Ordine del 15 marzo 2011