Di seguito la mia risposta alla lettera che questa mattina Daniele Brunati ha inviato agli organi di stampa
Ormai non c’è più nemmeno spazio per lo stupore, sì, perchè con le sue riflessioni Daniele Brunati non aggiunge nulla di nuovo al dibattito di questi giorni. Infatti, il patron della Città dei Balocchi, si è limitato a sciorinare quei tre o quattro luoghi comuni triti e ritriti su cui qualcuno ancora pensa di potersi costruire l’alibi per relegare Como a quel ruolo provinciale di città dormitorio a cui loro, evidentemente, devono essere molto affezionati.
A questo proposito non possiamo che partire da una riflessione, che ritengo di centrale importanza per mettere a fuoco il problema: il Sig. Brunati, citando l’Istat, afferma che nella nostra città il rapporto tra giovani ed anziani è di 17 su 100. Bene, a fronte di questo dato, sarebbe opportuno che la classe dirigente della nostra città cominci ad interrogarsi seriamente sui motivi che spingono i nostri giovani a lasciare Como.
Qualche aiuto? Potrei cominciare col dire che, i giovani che la sera hanno voglia di divertirsi senza fare nulla di male, sono stufi di essere etichettati con termini offensivi e superficiali. Potrei continuare con l’affermare che, forse, l’offerta culturale della nostra città è un tantino sopravvalutata, se si considera che parliamo di una grande mostra attorno a cui non si è costruito nient’altro. Vogliamo parlare, giusto per rimanere in tema, dei nostri musei? Della Pinacoteca? Degli “info point” nascosti e chiusi la domenica? Della Notte Bianca che non si fa più? Oppure, cambiando argomento, vogliamo parlare dell’inadeguatezza dei nostri mezzi pubblici? Della mancanza di opportunità professionali? Dei costi esorbitanti delle abitazioni?
Parliamone, ma facciamolo con un approccio costruttivo, esattamente quello che le migliaia di giovani che stanno sottoscrivendo la nostra petizione hanno dimostrato di avere. Sì, perché in gioco non c’è soltanto la chiusura dei bar a mezzanotte, nossignore, finalmente sono uscite allo scoperto due visioni della città antitetiche tra loro, due mentalità che, giocoforza, prima o poi sarebbero dovute entrare in conflitto tra loro nella nostra amata città.
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi nel collocarmi dalla parte di chi preferisce credere nelle potenzialità di Como e non in quella di chi ripete da anni, come un disco rotto, che “Como non è Barcellona”, o Rimini, non fa nessuna differenza. Esattamente come non ho dubbi a schierarmi con chi pensa che se non puntiamo seriamente sul turismo, quello vero, tra qualche anno sarà molto difficile che qualcuno riesca ancora “a far girare l’economia”.
Insomma, noi stiamo dalla parte di una Como che crede in se stessa e nelle sue potenzialità, che vuole divertirsi (ovviamente nel rispetto di tutti, i maleducati vanno perseguiti, ma dalle Forze dell’Ordine) e che sia in grado di costruirsi una prospettiva radiosa, da protagonista e crediamo che ciò possa avvenire solo abbandonando quella mentalità con il muso lungo, vecchia, ottusa e provinciale che da anni la sta stritolando.
Alessandro Nardone
Centro studi e Osservatorio Cultura e Spettacolo – Il Popolo della Libertà