L’atto di forza con cui la sinistra ha sistemato l’ultima pedina del suo scacchiere, eleggendo pro domo sua l’ex Pci Giorgio Napolitano Presidente della Repubblica ricorda, per certi versi, il modo in cui questa stessa coalizione (che allora sosteneva il Governo Amato, terzo della legislatura) fece passare la sua pessima riforma federalista. Infatti, con quel colpo di mano la sinistra creò un vero e proprio vulnus istituzionale, in virtù del quale la coalizione di centrodestra, una volta vinte le elezioni, poté approvare il pacchetto di riforme costituzionali senza la necessità di arrivare ad una convergenza con l’opposizione. Appare chiaro a tutti che il sistema usato per portare il diessino Napolitano sul colle più alto sia il medesimo, ed è altrettanto chiaro che a questo modus operandi la sinistra sia particolarmente affezionata, avendo abituato gli italiani alle peggiori lottizzazioni, all’okkupazione sistematica del potere, da quello istituzionale a quello economico, per non parlare di quella indistruttibile casta pseudo culturale che da decenni pretende di poter riscrivere a suo uso e consumo la realtà del presente (vedi alla voce stampa) e quella del passato, la nostra storia (le Foibe vi dicono qualcosa?). Per questo motivo l’elezione di Napolitano non deve stupire, viceversa sarebbe stato stupefacente se D’Alema & Co, a fronte di un risultato elettorale praticamente speculare a quello ottenuto dalla CDL, avessero deciso d’intavolare una vera trattativa per la carica che, in assoluto, dovrebbe garantire tutti in maniera imparziale, cosa in cui il Presidente Ciampi è riuscito benissimo (a differenza del suo predecessore Scalfaro). Ma, come sempre, non tutti i mali vengono per nuocere e, riflettendo, si possono trovare degli aspetti favorevoli alla destra in questa vicenda; innanzitutto il fatto che la sinistra abbia infranto due “tabù istituzionali” in un sol colpo: l’elezione del Presidente della Repubblica a maggioranza e, aspetto importantissimo, che la scelta sia caduta su un ex Pci. Di primo acchito questi due aspetti potrebbero apparire ininfluenti ma, se ci soffermiamo per un istante su di essi arriviamo alla conclusione che, per la destra del futuro, potranno rappresentare una grande opportunità. Infatti, come il comportamento della sinistra con le riforme permise alla destra di approvare senza vincolo alcuno (se non quello preso con gli elettori) delle riforme che, una volta passato il referendum confermativo, determineranno un grande miglioramento dello Stato, altrettanto potremo fare una volta riconquistata la maggioranza per quanto concerne l’elezione del Capo dello Stato. Ma l’aspetto più importante sta proprio ne fatto che l’elezione di un “compagno” proveniente dal Pci – Pds – Ds spazzi via qualsiasi veto di chicchessia se, in futuro, a salire al Quirinale ambisse una personalità della destra proveniente dal Msi, ora An. Si tratta senza alcun dubbio di un’ipotesi affascinante, alla quale la destra dovrà cominciare a lavorare sin d’ora, nell’immediato vigilando sull’operato del neo-Presidente Napolitano e, soprattutto, organizzando un’opposizione seria e intransigente al prossimo governo marmellata di Romano Prodi. Nel frattempo bisognerà lavorare ad un progetto importante attorno al quale costruire il ritorno del centrodestra alla guida del Paese, aprendo una discussione all’interno di tutta la CDL, coinvolgendo la base militante e la società civile, per discutere dell’ipotesi di un cambio di guardia alla guida della coalizione, ruolo per cui sembra ormai pronto Gianfranco Fini, attuale leader della destra e, auspichiamo, futura guida del Paese.
Autore: Alessandro Nardone