Ho fatto un sogno stranissimo, stanotte. Uno di quei sogni di cui non riesci a classificare il retaggio. Mi ha fatto svegliare felice? Mi ha lasciato l’amaro in bocca facendomi alzare con la luna storta? Boh. Ma veniamo al dunque. Ho sognato che gli ex “colonnelli di An” avevano organizzato una reunion della destra, un grande appuntamento programmatico per rilanciare l’azione di una comunità politica da troppo tempo in balia degli eventi. C’erano proprio tutti: a cominciare da quelli rimasti nel Pdl, come La Russa, Gasparri, Alemanno e Matteoli, passando per gli ex transfughi Urso e Ronchi, per arrivare a Storace che, fino all’ultimo, aveva declinato l’invito. Finalmente – mi dicevo – era proprio ora che si rimettessero a fare politica! Noi delegati eravamo moltissimi e, nonostante la canicola agostana, avevamo raggiunto la Capitale da ogni parte d’Italia. Era da tempo che non si respirava tanto entusiasmo, noi tutti eravamo animati come da una specie di senso di liberazione, sensazione difficile da spiegare che, per capirci, somiglia molto a quell’urlo di gioia che ti è rimasto strozzato in gola per mille e mille volte al quale – a tempo ormai scaduto – proprio quando pensavi di essere di fronte all’ennesima sconfitta della tua squadra del cuore, hai potuto dare tutto il fiato che avevi in corpo. Ecco, il nostro stato d’animo era pressappoco questo, eravamo contenti per il fatto di aver finalmente avuto il coraggio di rialzare la testa dopo anni di sconfitte e divisioni. No, non si trattava affatto di reducismo ma, più semplicemente, di aver riacquistato la consapevolezza che la tua casa e la tua comunità (politicamente parlando) avevano resistito agli scossoni degli ultimi tempi. Certo, magari erano un po’ malandate, ma le fondamenta, grazie alla loro profondità, erano ancora ben piantate per terra. Bello, bellissimo andare in giro ed incontrare gente con cui avevi condiviso anni di battaglie politiche e che, inevitabilmente, avevi perso di vista. Cameratismo vero, ecco come si chiamava lo spirito che ci animava, altro che balle. Persino gl’interventi riuscivano a scaldarci il cuore: finalmente potevamo essere quello che davvero eravamo dicendo, ovvero, cose di destra senza la paura di essere additati da Fini. Già, Fini. Negli ultimi anni di Alleanza Nazionale aveva posizioni che manco la sinistra radicale, e se ti dicevi in disaccordo erano dolori. Sai che strazio. Ecco, forse era proprio la sua assenza a regalarci quel sostenibilissimo e piacevolissimo senso di leggerezza. Via il dente, via il dolore. fini bnCerto, nel mio intervento avrei detto che era stata anche colpa nostra, e del nostro chinare la testa al cospetto del capo, facendo a pugni con i nostri valori ed i nostri principi. Ma da qualche parte dovevamo pur ricominciare, e quello era un gran bell’inizio! Ma, proprio quando meno te l’aspetti, nel bel mezzo dell’intervento di Ignazio, ecco che arriva l’inaspettato: Gianfranco Fini. Sì, proprio lui, che attraversa la sala come se nulla fosse, scortato dai “falchi” Granata e Bocchino e, udite udite, con al suo fianco il famigerato cognato, Giancarlo Tulliani. Il brusio si fece assordante. A quel punto Ignazio tentava di sdrammatizzare il momento con una delle sue battute: “Evidentemente – diceva con il suo inconfondibile timbro alla Fiorello – qualcuno si è accorto che siamo noi ad avere futuro e libertà, e digiamolo!”. Per lo stupore dello stesso La Russa, Fini si faceva largo, saliva sul palco e, prendendo posto proprio al centro del tavolo dei relatori, allargava le braccia, aggrottava la fronte e faceva la sua solita espressione da pesce lesso. Ma tu guarda che razza di faccia tosta! Di fronte a quel suo atteggiamento sprezzante, quello a cui ci aveva abituati, c’era qualche lunghissimo istante di silenzio, durante il quale – con ogni probabilità – Fini doveva aver pensato qualcosa del tipo “ecco, è fatta”. Ma aveva torto. Sì, perché quando quei lunghi istanti di silenzio terminavano, quella che si levava al cielo fu, senza dubbio alcuno, la più potente bordata di fischi che abbia mai sentito in vita mia. Giuro. Lo fischiavamo tutti, persino Donna Assunta Almirante che, dalla prima fila, si era alzata in piedi per dirgliene di tutti i colori. Per non parlare dei suoi ex colonnelli. Ignazio era in cerca di un cingolato per poterlo investire, Gasparri lo insultava in romanesco, Storace minacciava di prenderlo a sediate, Alemanno a sprangate, Matteoli a nasate… insomma, un vero caos. Com’è andata a finire? Lo hanno menato? Mi dispiace ma il finale non lo conosco nemmeno io, tutta colpa di quella dannata sveglia, che ha suonato proprio sul più bello.
Alessandro Nardone per L’Ordine dell’11 agosto 2011