Quarantatrè anni e 8 mesi nella polizia locale di Como. Se non è record poco ci manca. Una vita in divisa trascorsa per le strade della città. Dove ne ha viste di tutti i colori. Ha assistito e sentito sulle spalle la tensione degli anni del terrorismo. Ha osservato il cambiamento della città e dei suoi abitanti, ha visto crescere a dismisura il traffico selvaggio. Ha “combattuto” contro eserciti di auto impegnate nella caccia, senza sosta e spesso senza alcun rispetto delle regole, di un parcheggio. Un volto conosciuto e rispettato dai comaschi e una fisicità che difficilmente passa inosservata. Per chi non lo avesse ancora indovinato, stiamo parlando del commissario capo Gregorio Nardone che ieri mattina ha salutato i colleghi prima di congedarsi e cominciare a godersi la meritata pensione. Ripercorrendo le tappe salienti della sua vita professionale (e privata) ci si imbatte in episodi curiosi. A partire dal giorno della sua nascita. Originario di San Giorgio a Liri (Frosinone), Nardone è nato il 21 novembre 1943, durante uno dei bombardamenti alleati nella zona intorno a Cassino. E sotto le bombe il piccolo Gregorio venne alla luce dentro una grotta dove la famiglia si era rifugiata per scampare all’incursione aerea. «Ricordo nitidamente il mio primo giorno da vigile a Como – racconta Nardone – Era il primo febbraio del 1967». Da allora si sono succeduti momenti belli e altri meno gioiosi. «Ripenso con emozione alla festa del Corpo del 1969. Arrivò in città la banda dei vigili urbani di Roma. Ben 100 elementi che sfilarono con noi, per le vie della città. Momenti indimenticabili». Nell’album dei ricordi lo spazio più significativo è occupato da episodi lavorativi. «A partire dal clima di allerta massima che si respirava negli anni ’70. Nel periodo del terrorismo. Anche a Como vennero effettuati molti arresti – racconta Nardone – Tutti noi, per quanto di competenza, eravamo sempre in stato di massima tensione per presidiare il territorio». E quando si lascia andare ai flashback, il commissario capo è un fiume in piena. «Dal mio osservatorio privilegiato ho assistito alla trasformazione profonda di Como – prosegue – Con il traffico in costante crescita dagli anni ’70. E già da allora il sindaco, Antonio Spallino, mise in pratica strategie per controllarlo. Fu inaugurata la zona verde (centro città) dove venne istituito il divieto di sosta dalle 8 alle 9.30 e dalle 14 alle 16. Per farlo rispettare fu creata una squadra composta da 20 carri attrezzi sguinzagliati per rimuovere le auto dei trasgressori». Le macchine venivano portate «nel “forte Apache”. Così chiamavamo il deposito delle auto, sempre pieno, che esisteva in viale Varese», aggiunge Gregorio Nardone.
«Con il passare degli anni, oltre ad aver notato un incremento nel numero di auto e una riduzione dei parcheggi, ho visto crescere la maleducazione degli automobilisti. Soprattutto quando sono a caccia di un posto libero. Non si trattengono. Si trasformano. Nessun sindaco però ci ha mai detto di uscire a fare multe per far cassa». Sempre proficua la collaborazione con le forze dell’ordine. «Con le quali cominciammo nei primi anni ’80 a compiere retate per contrastare la diffusione della droga tra i ragazzi», conclude Nardone. E ieri mattina nel comando della polizia locale si sono ritrovati in tanti per salutarlo. «Per tutti gli agenti Gregorio Nardone è stato un esempio di dedizione e attaccamento al lavoro, una figura di riferimento all’interno del comando», ha detto il sindaco di Como, Stefano Bruni. E adesso? «Mi dedicherò ai miei interessi. Farò il corso per guardia ecologica. Terrò lezioni di educazione civica nelle scuole, se vorranno. Ma soprattutto – conclude Nardone – mi dedicherò alle mie due splendide nipoti».
Fabrizio Barabesi per Il Corriere di Como del 20 novembre 2010