Dobbiamo dirlo, la situazione politica comasca è diventata talmente irritante da poter essere tranquillamente paragonata a cose fastidiose come, ad esempio, uno sciame di zanzare che fanno capolino nella nostra stanza da letto, un’influenza cronica in piena estate o, peggio ancora, una non stop televisiva di trenta ore (a reti unificate) con Santoro, Travaglio, Bocchino e la direttora Concita De Gregorio. Che Dio ce ne scampi. Ovviamente, vista la sostanziale inesistenza – anche questa cronica – di una qualsivoglia opposizione, mi riferisco allo scontro tutto interno alla maggioranza e, in particolare, in seno al Pdl, il cui apice è stato raggiunto proprio in questi giorni, con la scissione avvenuta in Provincia e quella, ormai data per certa, che sta per consumarsi in Comune. Tanto che, sia il Senatore Butti che il Sindaco Bruni, sono stati molto netti nel denunciare, facendo nomi e cognomi, il vero e proprio stillicidio cominciato tre anni fa, ad urne chiuse, da alcuni amministratori locali che amano definirsi “liberal” e che, forse, vorrebbero semplicemente tornare ad essere liberal di fare quello che gli pare. Già, perché da ormai diciotto mesi, ovvero dal congresso fondativo del Pdl, ripetono come un disco rotto la tiritera sulla “mancanza di democrazia interna al partito” dimenticandosi, però, che quella comasca è una delle poche federazioni in tutta Italia ad essere gestita in modo davvero collegiale, con un coordinamento provinciale che si riunisce assai frequentemente, nel quale sono rappresentate tutte le anime del partito, “liberal” compresi. A questo proposito, molti osservatori hanno fatto un parallelo tra la situazione nazionale e quella locale, mettendo sullo stesso piano Berlusconi e Butti da una parte e Fini e Rinaldin dall’altra. Il paradosso di tutta questa vicenda è che, mentre sulla scena nazionale è l’ex An Fini a puntare il dito contro Berlusconi e gli ex Fi scoprendo, tutto ad un tratto, il concetto di “democrazia interna”, a livello locale accade l’esatto contrario, ovvero, un ex Forza Italia che muove la medesima accusa al Coordinatore Butti, a sua volta proveniente da Alleanza Nazionale. Questo ragionamento, che qualcuno potrebbe frettolosamente derubricare a inutile sofisma politico, risulta invece determinante per mettere in evidenza quale sia il trait d’union tra il frondismo locale e quello nazionale, che potrebbe essere riassunto in un’inflazionatissima battuta di Giulio Andreotti: “Il potere logora chi non ce l’ha”. In parole povere, non è la matrice politica a scatenare il dissenso (cosa che, per inciso, sarebbe ben più nobile), ma il disagio causato da una considerevole riduzione del proprio raggio d’azione. Mi spiego. Se, fino a due anni fa, Fini aveva la possibilità di decidere le sorti del terzo partito d’Italia (e secondo della coalizione) così, fatte le debite proporzioni, in Forza Italia Rinaldin aveva sicuramente più spazio che nel Pdl, dove non doveva certo rendere conto di ciò che faceva ad un politico del calibro di Alessio Butti. Entrambi vogliono maggiore potere, insomma, il che tradotto, significa posti al sole, tutti drasticamente ridotti dalla nascita dei partiti unici e dalla sacrosanta riforma degli enti locali. Di questo, ormai da mesi, discutono i nostri politici. Peccato che, mentre loro si accapigliano, il tempo corra inesorabilmente e, tanto l’Italia quanto Como, continuino a rimanere ferme per assistere a questo triste teatrino.
Alessandro Nardone per L’Ordine del 15 ottobre 2010