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Vita da freelance: il gusto agro-dolce della libertà

Se mi leggete qui, è perché, da quasi due mesi, ho deciso di lasciare il posto fisso a Vanity Fair, dove mi occupavo di attualità, per diventare un freelancee poter scrivere anche altrove. Il primo mese è stato tanto duro quanto eccitante ma, più di tutto, è stato istruttivo, e mi ha permesso di scoprire nuovi aspetti dell’attività e della vita da “professionista libero”. Eccone alcune, dalla più brutta alla più bella.

1) Il primo giorno è il peggiore
Mi sono alzato alle 6.30, in anticipo sulla sveglia. Ho letto cinque quotidiani, decine di siti e newsletter, fatto proposte a circa cinque testate e scritto tre o quattro articoli. Quando alle 18 pensavo fosse finita, mi hanno chiesto se volessi andare a un evento per farci un pezzo. Ci sono andato. Rientrato a casa a mezzanotte, la persona che, nel frattempo, avevo inseguito per un’intervista mi ha detto che era finalmente disponibile. Ho fatto l’intervista e sono andato a letto, sfinito, alle due. Uno dei giorni più lunghi e strani della mia vita.

2) Manca la redazione
Al momento non tornerei in una redazione full time, ma passerei volentieri qualche ora la settimana all’interno di redazioni diverse. Personalmente trovo assurda la compartimentazione stagna tra le redazioni italiane (impermeabili agli stimoli esterni) e i collaboratori (cui spesso è impedito persino l’accesso negli uffici).

3) All’inizio è un esame continuo
Mandare le proposte è un po’ come fare un esame. Il voto più alto equivale a tutte le proposte accettate. Quello più basso equivale a una non-risposta che, davvero, è la cosa più brutta. Per un motivo molto semplice: se non mi dici che le mie proposte non ti vanno bene, non posso proporle a qualcun altro. Stavo pensando a un accordo del tipo silenzio-dissenso da fare con tutti i miei interlocutori. Se non ricevo risposta entro 6 ore, mi sento libero di proporre quei pitch a un’altra testata.

4) Si comunica ancora via mail
Ed è un problema, perché lo considero il mezzo più inefficiente, ingombrante e lento che esista. Due ottime alternative che sto provando con un paio di redazioni: Airtable, oppure Telegram (come qui su Orwell ).

5) Fare le proposte è (gran) parte del lavoro
Non meno impegnativa e forse più importante della scrittura stessa.

6) Il denaro è tempo
Quando sei freelance inizi a quantificare ogni tuo sforzo, a valutare il tempo che ti occorre per compierlo e a decidere se il compenso lo giustifica o meno. Misuri tutto, e ti regoli di conseguenza. Il lato positivo? Ogni cosa che fai ha un valore economico quantificabile.

7) Capisci chi ti stimava veramente
In questo mese ho (re)incontrato tantissime persone. Alcune le conoscevo giàbene, altre solo via mail. A loro ho chiesto tantissimi consigli, a volte dei contatti, altre volte delle dritte. È il miglior modo per capire di chi ti puoi fidare, per distinguere chi ti apprezza per quello che sei da quelli che ti valutano solo per dove lavori.

8) Fai più tipi di cose
Il lavoro di macchina è molto meno, ma quando posso cerco o accetto volentieri lavori più “tecnici” che mi fanno imparare nuove cose e soprattutto guadagnare bene. Cose come montaggio video, partecipazione a convegni, newsletter o lavoretti di content writing o social media management per aziende.

9) Milano è la città più bella per lavorare
Ogni pomeriggio scopro posti nuovi e bellissimi per lavorare col mio Mac. Oltre ai più classici spazi smart-working: Otto, Copernico e Gogol, una menzione speciale la meritano Aspirin (in zona Isola) e Walden.

10) Ricominci a cercare opportunità
Suona patetico, ma la tua vita si fa più interessante. Non sei più vincolato a un’esclusiva, puoi costruire da solo il tuo destino e lanciarti in nuove avventure. Sai che hai margini di crescita (ma anche di decrescita) e guardi le persone, i giornali e un po’ il mondo con occhi più vivi.

11) Il mondo fuori è più gentile di quanto pensassi
So già che è solo questione di tempo prima di imbattermi in qualche capetto saccente o ignorante (nel senso “che ignora le mail…”). Allora dovrò fare i conti con le mie (inesistenti) arti diplomatiche. Finora, però, tutte le persone che ho contattato per propormi, sono state molto, molto gentili e disponibili.

12) La libertà
Tralasciando quella di tempo e spazio che avevo messo in conto, ce n’è di almeno tre altri tipi.
C’è la libertà (o liberazione) dalle tossicità che si respirano in ogni redazione. Intrighi, pettegolezzi, dispetti, piccole manovre nel giro di pochissimi giorni diventano solo un ricordo e lasciano il posto a puro, divertente giornalismo.
C’è la libertà di autopercezione. Quando sei in una redazione, alla lunga finisci per percepire il tuo valore come quello che il capo ti attribuisce in quel momento. Con tutti i saliscendi che ne derivano. Quando sei freelance, e passi da uno a 10 capi (o clienti), la percezione del tuo valore ritorna a essere tua. Ovviamente, e per fortuna, è influenzata anche dai giudizi altrui, ma è una valutazione più pulita, più libera, meno costretta dalle contingenze. Hai una botta d’autostima nel senso letterale: torni a fare autonomamente una stima di te.
La terza, la più difficile da conquistare, è la libertà di lasciare un campo. Se uno dei tuoi 10 capi non ti valuta come vorresti, se ti tarpa, puoi sempre salutarlo e andare alla ricerca di nuove avventure. Parafrasando una bellissima frase di Fiorenza Sarzanini, riferita alle fonti: «Se hai un capo, è lui che controlla te. Se ne hai cinque, sei tu che controlli loro».

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