SENZA FINI LA DESTRA NON HA PIU’ ALIBI: ORA TORNI AD ESSERE SE STESSA

“Quello che mi aspetto è un sussulto, uno scatto d’orgoglio che parta soprattutto dai giovani, ma che coinvolga anche tutta la classe dirigente, attraverso il quale si abbia il coraggio di rivendicare, una volta per tutte e con estrema chiarezza, quelle istanze e quei valori nei quali la Destra si è sempre riconosciuta”

Gianfranco FiniNon esistono separazioni piacevoli, nemmeno al termine dei rapporti più logori e sfiancanti. Tutt’al più, una volta superata l’iniziale fase dell’irrazionalità, ci si deve sforzare di uscire dalla sbornia post-rottura e, così, riacquistare la lucidità necessaria per compiere un’analisi obbiettiva dell’accaduto, utile a comprendere anche e soprattutto i propri errori dei quali, spesso e volentieri, non ci rendiamo conto perché, quando si litiga, tendiamo a focalizzare tutta la nostra attenzione su quelli commessi dall’altro. Questa sorta di introspezione è molto utile se si vogliono, responsabilmente, evitare spiacevoli strascichi che, magari, vedono coinvolti anche amici e familiari. Non esiste cosa peggiore che farsi la guerra in famiglia. Esattamente quello che sta accadendo nella “famiglia” della Destra Italiana, che esce con le ossa rotte da un lento ma inesorabile processo di separazione durato circa dodici anni, ovvero da quando Fini, con un partito che, forte delle sue posizioni, alle politiche del ’96 raggiunse il suo massimo storico, pensò bene d’inciuciare col democristianissimo Mario Segni, dando vita (?) al disastroso esperimento dell’elefantino. Il risultato lo conosciamo tutti: trend positivo invertito e – 6%  rispetto alle politiche. Ergo, Alleanza Nazionale perse la sua spinta propulsiva e, con essa, ogni velleità di “sorpasso” sugli alleati di Forza Italia, stabilizzando il proprio peso elettorale attorno al 12%. Da allora, fu un susseguirsi di esternazioni, con le quali Fini ha sottoposto la base del partito ad un quotidiano sfilacciamento, costringendo, in molti casi, dirigenti e militanti a vivere nel paradosso di doversi letteralmente vergognare della propria storia e delle proprie idee. Una situazione resa ancora più umiliante ed incomprensibile dal fatto che, contestualmente, la Lega di Bossi costruiva i suoi successi elettorali facendo suoi i temi che Fini gettava a mare. Insomma, cornuti e mazziati, ma tenuti insieme da un senso d’appartenenza fuori dal comune e dalla speranza che, quantomeno, dietro alle prese di posizione dell’allora Presidente di Alleanza Nazionale ci fosse un disegno politico ben preciso. Detto questo, per onestà intellettuale, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che in molti, troppi casi, con il nostro silenzio fummo corresponsabili di quanto stava accadendo dentro al partito. Su questo punto non ci sono scuse, soltanto rimpianti. Sì, perché di fronte a spettacoli avvilenti come quello avvenuto ieri pomeriggio alla Camera, trovo umanamente comprensibile pensare che, forse, se fossimo stati tutti un po’ più decisi nel contrastare certe prese di posizione, se avessimo avuto le palle  per dire chiaro e tondo che così non si poteva andare avanti, beh, forse Fini avrebbe preso coscienza dei suoi errori. Forse, chissà. Certo, ora che la frittata è fatta tutti questi ragionamenti lasciano il tempo che trovano ma, vivaddio, si dovrà pur aprire una riflessione seria su una frattura che, in un sol colpo, ha sancito la fine di un percorso lungo oltre sessant’anni ed ha ammaccato vistosamente la carrozzeria del Popolo della Libertà. Sarebbe grave se quanto avvenuto ci lasciasse indifferenti, perché vorrebbe dire che viviamo in uno stato di sostanziale apatia, per non dire comatoso, assuefatti a subire passivamente qualsiasi cosa venga detta o fatta. Ecco, quello che mi aspetto è un sussulto, uno scatto d’orgoglio che parta soprattutto dai giovani, ma che coinvolga anche tutta la classe dirigente, attraverso il quale si abbia il coraggio di rivendicare, una volta per tutte e con estrema chiarezza, quelle istanze e quei valori nei quali la Destra si è sempre riconosciuta. Badate bene, a scanso di equivoci, con questo non intendo certo dire che dovremmo riappropriarci di certi rituali nostalgici, ma rispettarli anziché rinnegarli spudoratamente, perché fanno parte della nostra storia. No, non credo che dovremmo sbandierare posizioni razziste o xenofobe – che, per inciso, non hanno mai fatto parte del dna della Destra Italiana – ma essere fermi nel tutelare la sicurezza dei cittadini, nel contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e di difendere, senza se e senza ma, la nostra Identità Nazionale e le nostre tradizioni da chi non le rispetta. Come non dovremmo assumere posizioni cosiddette “clericali” a prescindere, ma nemmeno mettere in discussione il concetto irrinunciabile di sacralità della vita e le indiscutibili radici cristiane sulle quali fioriscono le nostre tradizioni e la nostra storia. Allo stesso modo, e qui passiamo ad un argomento forse meno alto ma altrettanto importante, nessuno si è mai sognato di affermare che dovremmo essere un manipolo di cagnolini scodinzolanti ai piedi di Berlusconi (come dice adesso qualcuno che, evidentemente, di scodinzolii se ne intende) ma leali e costruttivi nei confronti del governo, degli elettori che ci hanno dato fiducia e, soprattutto, di noi stessi, che ci siamo buttati anima e cuore nel progetto del partito unico del centrodestra, quella “casa comune” in nome della quale, appena due anni fa, abbiamo abbandonato la nostra. Insomma, e qui concludo, non dovremmo far altro che tornare ad essere noi stessi. Il tradizionale appuntamento di Atreju è ormai alle porte, facciamo tutti in modo che non diventi l’ennesima occasione persa.

Alessandro Nardone