SERGIO RAMELLI, UNA STORIA CHE FA ANCORA PAURA

Nel giorno in cui cade la triste ricorrenza della morte di Sergio Ramelli, ho chiesto al carissimo amico Guido Giraudo di rispondere ad alcune mie domande. Per chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, Guido (autore del libro “Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura” e già Direttore de “Il Candido”) è una persona fantastica, che da anni ha intrapreso un lungo cammino per rendere giustizia alla memoria di Sergio e degli altri Caduti degli “anni di spranga e di piombo” divulgandone la storia, per anni volutamente nascosta dai potentati del nostro Paese perchè troppo scomoda. Da Guido, negli anni scorsi, ho ricevuto un contributo determinante per riuscire nell’impresa d’intitolare a Sergio quel bellissimo angolo della nostra città che oggi si chiama Passeggiata Ramelli, grazie a Guido ho avuto l’onore di conoscere Anita, la mamma di Sergio, donna di una forza d’animo straordinaria. Insomma, questa mi sembra l’occasione giusta per ringraziare pubblicamente Guido Giraudo per avermi dato l’onore di condividere con lui un piccolo tratto del suo lungo e ammirevole cammino.
Trentuno anni fa Sergio ci ha lasciati, e come lui tanti altri ragazzi che oggi non sono tra noi perchè qualcuno aveva deciso che le loro idee erano sbagliate e, perciò, andavano eliminati. Secondo te, Guido, a distanza di tanto tempo si può realmente dire che il loro sacrificio “è servito a qualcosa”? Cosa sarebbe stata la Chiesa senza martiri? Certo, in alcuni periodi della sua storia, quando i papi la svendavano al potere ed era asservita e corrotta, marcia al limite della blasfemìa, ci saranno stati migliaia di fedeli e di chierici che si saranno chiesti “ma quei martiri sono morti per questo?”, e ci saranno stati tanti “realisti” che avranno convenuto sull’inutilità di quel sacrificio. Ogni storia di sacrificio e di martirio in nome di una fede rimane, invece, come l’indispensabile sale della vita. Senza esempi, senza punti di riferimento, senza il rito vivificante del “presente” ovvero della certezza che – se si è vissuto in maniera esemplare – non si muore mai, senza dei ricordi che diventano testimonianza… non si può dare alcun senso alla propria vita. Eppure a distanza di tanti anni, se da una parte ci sono alcuni ex militanti di Lc che, come Gad Lerner, ammettono la cieca barbarie che animava il loro movimento, bisogna prendere tristemente atto che la grande maggioranza della sinistra (anche istituzionale) è ancora animata da un grande livore nei confronti nostri, dei “Fascisti”, tant’è che le frange più estreme danno fuoco alle nostre sezioni. A mio parere perchè senza un nemico da combattere si estinguerebbero, cosa ne pensi? L’odio per il nemico (sia esso “di classe”, politico, etnico o economico) e la necessità, anzi il dovere, di eliminarlo fisicamente fanno parte integrante della dottrina leninista di cui è intrisa tutta la cultura di sinistra, non solo in Italia, ma nel mondo. Dirò di più: anche il terrorismo islamico, in realtà, è stato giustamente definito “leninismo islamico” poiché, seppure l’Islam sia religione che predica la guerra agli infedeli, i metodi usati in questi ultimi vent’anni da certo integralismo sono avulsi dal Corano mentre sono tipici delle guerriglie e del terrorismo di matrice comunista (vedi gappisti in Italia, castristi in sudamerica, maosti in Nepal o nelle Filippine… dove infatti i due movimenti, comunista e islamico, si sono fusi). L’odio fa parte della cultura di sinistra, esattamente come l’onore fa parte della cultura di destra… Poi, per fortuna, ci sono uomini di sinistra che hanno superato gli odi così come, purtroppo, ci sono uomini di “destra” che hanno perso l’onore… A proposito di onore, nei giorni scorsi, a Milano, i residenti del palazzo su cui si sarebbe dovuta apporre la targa in ricordo di Enrico Pedenovi, si sono opposti al provvedimento asserendo che la targa in questione avrebbe messo in pericolo la loro incolumità “sia fisica che morale”… I residenti di quei palazzi, di proprietà di una delle più antiche cooperative comuniste milanesi, sono evidentemente ideologizzati e non escludo che qualcuno di loro, trent’anni fa, abbia fatto da basista all’omicidio, magari fornendo foto, numeri di targa, orari di spostamento. Quello che trovo, comunque, vergognoso è che solo dopo quasi trent’anni, di cui dieci di governo di centro destra, si sia dovuti arrivare alla soluzione “di compromesso” del palo infisso dalla parte opposta della strada !!! Possibile che non si siano trovati il tempo, il coraggio e la coesione politica per fare di più? Per dedicare l’intero viale a Pedenovi? Oppure una qualche importante struttura pubblica (per esempio un teatro, un palazzo pubblico, una scuola…) Le cose “raffazzonate”, fatte in fretta, all’ultimo minuto, in piena campagna elettorale, per forza poi vengono male e si prestano a strumentalizzazioni. Per quanto riguarda Como, la targa che porta il nome di Sergio è stata più volte oltraggiata con scritte e simboli comunisti. Ma la cosa grave è che in Consiglio Comunale siedono delle persone che non solo si sono ben guardate dal condannarli, ma hanno addirittura giustificato questi atti di sfregio sbandierando la tesi secondo cui noi amministratori (e con noi tutti i cittadini) “dovremmo sforzarci di capire perché i ragazzi compiono certi atti”. E l’aspetto ancor più sconcertante di questa vicenda è che alcuni di questi personaggi occupano posizioni di vertice in alcuni istituti scolastici della città. A tuo parere che ruolo giocano i cosiddetti “cattivi maestri”? E’ evidente che quella “cultura dell’odio” di cui parlavo prima si tramanda solo grazie ai “cattivi maestri”, a quest’ordalia di infami cresciuti nel marciume pseudo rivoluzionario degli anni Settanta e che oggi occupano tutti i gangli del potere culturale: dai giornali alle case editrici, dalle scuole alle università, dai teatri alle case discografiche. Un potere che cinque anni di governo di centro destra non ha neppure tentato di scalfire nel nome di un malinteso “liberalismo”… basti pensare che oggi a Milano esiste una lista per le Comunali, guidata da Dario Fo, che si chiama “Zelig”, che è il marchio dello storico cabaret dell’estrema sinistra (alloggiato nella sede di una vecchia sezione del PCI oggi di Rifondazione) che da più di dieci anni prospera grazie ai soldi di Mediaset (quindi di Berlusconi…) e i cui “artisti” miliardari si distinguono per dileggiare il loro padrone in tv e per appoggiare tutte le campagne elettorali della sinistra. Quindi, se è vero che esistono i “cattivi maestri” è anche vero che non si fa quasi nulla per isolarli, sbugiardarli, tagliarli fuori dalla vita sociale e culturale così come sono già stati tagliati fuori dalla storia. In conclusione, caro Guido, anche se mi rendo conto che non è semplice, vorrei che lanciassi un appello ai giovani del nostro tempo attraverso il ricordo di Sergio. La “Preghiera del Legionario” recita: “Rendimi sempre più degno dei nostri morti / affinché loro stessi – i più forti – / rispondano ai vivi: Presente!”. Bisogna cercare di essere degni dei nostri morti, abbandonare il folklorismo o l’arrivismo, che troppo spesso sono gli estremi negativi dei nostri gruppi giovanili. Non cedere al relativismo che porta al nichilismo (“tanto sono tutti uguali, non serve a niente lottare, Sergio non è morto per difendere Andreotti…” ecc.) e ripartire dal proprio, personale esempio. Fare i conti con la nostra, intima coscienza prima di criticare gli altri. Andare magari da soli, in un giorno qualsiasi dell’anno (e non solo il 29 di aprile in branco) davanti alla lapide di Sergio o di qualche altro nostro martire e lì chiedere a sé stessi: “ne sono degno? Cosa ho fatto io per onorare questa storia, questa idea, questa fede, questo martirio?”. Se in quel momente Sergio chiamasse il nostro nome saremmo degni di rispondere: “Presente!”? Smettiamola quindi di vivere o di “far politica” solo per criticare quello che gli altri fanno o non fanno e ricominciamo noi, per primi, a fare e a dare esempi positivi. Ai nostri ragazzi voglio anche dire che Sergio, come tutti i nostri militanti di quegli anni, era un ragazzo allegro e solare. La nostra era una gioventù militante ma goliardica. Sapevamo ridere e irridere al nemico e soffrire sorridendo… con quello spirito di giovinezza che era del Fascismo. I nostri ragazzi di oggi, troppo spesso, sono cupi, tristi, incazzati, rinchiusi a riccio su sé stessi. Dal sorriso di Sergio, dalla sua espressione semplice, pulita, solare… riscoprano il gusto di “vivere davvero”.

Autore: Alessandro Nardone