COMO CHE CAMBIA, LA “EX SORDOMUTI” IN FASE DI RESTAURO

Negli ultimi anni Como è cambiata, e in meglio. Oltre alle grandi opere è giusto ricordare anche interventi che, se paragonati con la Ticosa ed il nuovo Ospedale, potrebbero sembrare di secondo piano ma che, dal punto di vista pratico, sanano situazioni che erano diventate insostenibili. Questo è il caso del complesso della cosiddetta “ex sordomuti” che, fino a qualche mese fa, era completamente abbandonato a se stesso e veniva utilizzato come vero e proprio bivacco da una moltitudine di poco di buono. Situazione che ho sottoposto con cadenza periodica all’attenzione di Sindaco, Giunta e vertici delle Forze dell’Ordine, attraverso svariate interrogazioni verbali e scritte, arrivando a chiedere l’esproprio. Una provocazione, certo, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: infatti, dopo i miei interventi, i diversi soci che detengono le quote della società che gestisce la struttura in questione hanno finalmente trovato un accordo per riprendere i lavori di restauro. Per rinfrescare la memoria a chi si fosse dimenticato in quali condizioni versava quella zona prima che avessero inizio i lavori, ripropongo l’articolo di Emanuele Caso pubblicato dal Corriere di Como il 21 gennaio 2003. In quell’occasione avevo accompagnato personalmente il cronista in un “tour” all’interno di un vero e proprio ghetto che si era venuto a creare in una delle zone più belle ed insospettabili della città.

La splendida Villa Olmo è a poco più di cinquanta metri, la panoramica passeggiata affacciata sul lago, tanto amata dai turisti, è ancora più vicina. Eppure, leggermente discosto dai luoghi suggestivi che Como sa offrire, all’inizio della tranquilla via Museo Giovio esiste un angolo della città in cui tossicodipendenza, degrado, disperazione hanno trovato l’ennesima dimora. Un desolante cartellone informativo affacciato su via Borgovico annuncia che sui ruderi di quell’antica villa nobiliare, oggi stretta tra il traffico quotidiano e la calma placida del Lario, sarebbe dovuta sorgere la “Residenza Rosa Delfina”. Ed effettivamente i lavori per il recupero di quelle centinaia di metri quadrati di storia e nobiltà partirono nel 1999. Salvo poi arenarsi nel nulla poco dopo e consegnare alla città l’ennesima figlioccia di mamma Ticosa. Entrare nell’antica villa è semplice, basta individuare uno dei buchi nel muro di cinta creati dai “fantasmi del castello” che vi dormono ogni notte. Oppure, meglio ancora, non rischiare scarpe e giacconi e sfruttare l’enorme cancello d’accesso spalancato sullo scheletro del mostro. Come sadici strumenti di tortura conficcati nel corpo di cemento, si notano subito le impalcature abbandonate tutt’intorno alla villa. E ciò che più ancora sorprende sono le travi vistosamente recenti che campeggiano in più punti sul soffitto, segni d’un cantiere scomparso troppo presto. Nell’aggirarsi tra le sale abbandonate e rimbombanti, si scorgono le prime tracce di vita, se così si può definire quell’indefinibile agonia consumata tra calcinacci, finestre aperte e giacigli di immondizia. Le solite cose: scatoloni di pizze, lattine di bibite e birre, cartoni di latte. Sono come tracce che invitano ad essere seguite, guide sparse per scoprire le gradazioni della disperazione in riva al Lario. Saliamo una scala. Un paio di jeans è steso ad asciugare al “piano nobile”. La presenza umana si fa palpabile. C’è un calendario aperto sul mese di dicembre 2002, la speranza di qualcuno forse s’è fermata lì. Poi uno stanzino buio con tappeti, materassi luridi e abiti sporchi tutt’intorno. Ancora pochi passi e ogni distinzione tra bene e male cade nel nulla. Quelle scatole di metadone, praticamente nuove ma naturalmente vuote, sembrano mettere impietosamente in discussione l’efficacia di un metodo di lotta alla droga. Quantomeno fanno riflettere. La nostra guida, il consigliere comunale di An, Alessandro Nardone, ci accompagna all’uscita. «È incredibile come tanta bellezza possa diventare luogo simbolo di degrado e delinquenza. Serve più controllo – dice Nardone – Il continuo viavai notturno qui intorno fa paura». Ce ne andiamo che è quasi buio. Mentre la città si assopisce, il mostro si sveglia.