Manifesto firmato Nardone su una città-community, che faccia della sua bellezza un marchio attrattivo

Perché Nardone rimane saldamente di centrodestra, ma scorge, come batte anche questo foglio, nella prossima tornata elettorale qualcosa di più. Il bivio tra la riscossa, e una riscossa fedele all’anima liberale e moderata comasca, e la definitiva resa alla palude, delle menti e delle opere.

Alessandro Nardone mi spiazza ogni giorno di più. Abbiamo da poco riannodato, su queste pagine, il filo di una sua provocazione “renzista”: il superamento del PdL attraverso la sua rottamazione. Un lampo di attivismo pensante, per quanto a nostro giudizio scentrato, nella palude intellettuale in cui si trastulla inspiegabilmente il centrodestra comasco. E, adesso, siamo qui a pubblicare un documento che da oggi Nardone diffonde, una rassegna d’idee per la rinascita comasca, alcune feconde, altre accennate, tutte comunque ancorate a un’intuizione basilare sulla città, che non ci pare ignorabile. Non lo è perché è suggerita dalla stessa realtà: la “Como-community”, la chiama lui, o altrove “la New Como”, comunque sia: una Como che si ri-desti sul suo asset principale, il bello annidato nella Natura e amplificato dalla Cultura (e fin qui è linea lucida, ma non originale), vivificato però dalle nuove tecnologie, dalla globalità che è anzitutto immateriale e cliccata, dalla connessione permanente con il mondo. È una Como 2.0, quella che s’annuncia nella ricognizione che da un po’ Nardone sta compiendo attorno al corpo (ferito) della polis, e di cui ormai chiunque vada in cerca di scampoli di futuro oltre questo tetro crepuscolo bruniano è obbligato a tener conto. Perché Nardone rimane saldamente di centrodestra, ma scorge, come batte anche questo foglio, nella prossima tornata elettorale qualcosa di più. Il bivio tra la riscossa, e una riscossa fedele all’anima liberale e moderata comasca, e la definitiva resa alla palude, delle menti e delle opere. Parla di “elettroshock amministrativo” da praticare sulla città, Nardone, ed è un’espressione che ci piacerebbe aver coniato noi. Anzitutto, un’immersione totale di Como nel mondo, portandone fino in fondo la vocazione turistico-culturale. È quello, il baricentro filosofico, l’identità ritrovata dopo il disfacimento del moloch serico, il fondamento di una “Como-community”. Che deve avere il coraggio di ripensare i suoi confini, di farsi Grande Como, e Nardone lo dice. Di andare oltre le mostre, di rendere Villa Olmo incubatore di città, come ha compreso e rilanciato lo stesso Sergio Gaddi, e Nardone lo dice. Di spezzare le ritualità delle oligarchie, anche dentro i partiti, le consorterie interne che hanno perso la connessione con il tutto, e Nardone lo dice. Di capovolgere un dogma comasco continuamente falsificato dalla cronaca, quello per cui sicurezza significa deserto urbano, e Nardone lo dice. Comincia a dire tante cose, Nardone, e in molte riconosciamo frammenti di futuro, sono le nostre. Soprattutto, usa un aggettivo, per tratteggiare il disegno di una città possibile. “Visionario”. Sì, serve una politica visionaria, che è il contrario della chimera soggettiva. Serve una sparigliata, un’aggressione costruttiva della Fortuna, verso una Como 2.0.

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Giovanni Sallusti per L’Ordine del 22 gennaio 2012