CASO BURQA, PRONTI A RITIRARE IL FIGLIO DALLA SCUOLA. AD ANNUNCIARLO E’ STATO IL MARITO: “PIUTTOSTO CHE FAR SCOPRIRE IL VOLTO A MIA MOGLIE MI TAGLIO LA TESTA”

Accompagnerà il figlio più grande fino alla soglia delle elementari. E l’altro figlio, che frequenta la materna, forse non andrà più a scuola. Una cosa è certa: la donna tunisina, che in questi giorni ha fatto nascere una polemica dopo essersi presentata a scuola con un velo integrale nero calato sul volto, non potrà più entrare nell’istituto di Como Borghi a viso coperto. È quanto hanno ribadito ieri sera Anna Spazzi – referente per l’integrazione scolastica del Provveditorato – e la preside Armanda Selva, in un incontro con il padre dei bimbi nonché marito della donna. Un incontro dai toni tutt’altro che concilianti. L’uomo, infatti, dopo un’animata discussione con i giornalisti che lo attendevano all’esterno della scuola di via Viganò, è salito nell’ufficio della preside. Arrivando a dire che piuttosto che far alzare il velo alla moglie si farebbe tagliare la testa. Anna Spazzi e Armanda Selva hanno cercato, a più riprese, di far capire all’uomo che non si trattava di una battaglia contro lui o la sua religione. Ma di una serie di leggi: almeno quattro, tra decreti e circolari ministeriali, che impediscono di circolare a viso coperto. Eppure, lui non ha voluto sentir ragione. E ha respinto con forza una delle possibili soluzioni, ovvero consentire alla moglie di togliere il velo dentro la scuola. La donna protagonista del caso indossa il niqab, un velo integrale nero e spesso che copre praticamente tutta la figura. Non solo il volto, ma anche il resto del corpo fino alle ginocchia. Un velo dal quale non si vedono nemmeno gli occhi. Ha due figli, uno alle elementari ‘Severino Gobbi’ e un altro alla materna ‘Sant’Elia’. Entrambi gli istituti fanno parte dello stesso plesso e sono adiacenti. Presentandosi ad accompagnare e prendere i piccoli coperta di nero, la tunisina aveva destato perplessità in qualche genitore e docente. Il resto è cronaca: la questione è finita prima sui tavoli del consiglio comunale, per voce del consigliere di Alleanza nazionale Alessandro Nardone, e poi sulle pagine dei giornali. Parallelamente, il provveditorato si è attivato per far luce sulla vicenda. L’incontro di ieri sera con il marito della donna, sarebbe dovuto servire ad appianare ogni malinteso, ma sia la Spazzi che la preside si sono trovate dinnanzi a un muro di gomma. All’incontro era convocata la coppia al completo, anche se poco prima delle 19 si è presentato solo il marito. «Dato che il figlio grande è obbligato per legge ad andare a scuola, e il padre non voleva saperne di far alzare dentro l’istituto il velo alla moglie – spiegano all’unisono sia Anna Spazzi che Armanda Selva – siamo giunti a una soluzione: la mamma accompagnerà il bimbo fino all’ingresso. Senza entrare. Alla materna, dove per ovvi motivi i piccoli non possono entrare in autonomia, questo non è fattibile. Lui ha detto dunque che piuttosto non manderà più il figlio piccolo a scuola». «È arrivato a dire – prosegue Anna Spazzi – che noi stavamo dichiarando guerra all’Islam, quando abbiamo più volte ribadito che è la legge a vietare la copertura del volto, a qualsiasi cittadino. Non c’entra la nazionalità o la religione». «Mi sarei aspettata un compromesso, una soluzione – conclude la preside – purtroppo siamo di fronte a una persona dalle idee radicali. Basti dire che ha subito risolto la questione del figlio piccolo dicendo che non l’avrebbe più mandato a scuola. D’altronde, i bambini della materna vanno accompagnati fino in classe, e la maestra – una – sta in aula. La donna non può entrare a scuola con il velo, ma non può nemmeno lasciare il piccolo al cancello». La Spazzi aveva anche offerto la possibilità – per il più piccolo – di un mediatore culturale. Ma ovviamente, dopo la reazione dura del padre, non servirà più. La competenza del preside e del provveditorato finisce sul portone d’ingresso della scuola. Il rispetto delle leggi sul riconoscimento in luogo pubblico, invece, è tutt’altra cosa. Compito e territorio, nel caso, della magistratura.

Autore: Andrea Bambace

Fonte: Corriere di Como del 21 settembre 2006